The papal spokesman, Fr. Federico Lombardi, rattled off a statement on Vatican Radio about the purpose of Summorum Pontificum. Not a lively reading, but there were some very good points in it.
Here are is a highlight in my translation:
In any case, the Pope wishes that the coexistence of the two forms of the rite will bring both of them not into opposition or exclusion of each other, but that each will mutually enrich the other, on the one hand with a greater depth concerning the sacred nature of the celebration, and on the other with a greater variety and modes of expression of (the rite’s) elements. Also, for those who don’t foresee in any way a change of their own present liturgical use there is however an important message: the liturgy must be celebrated with care and due respect precisely because through it the mystery of God is communicated. If this respect is lacking, not only the individual but the entire Church suffers from it, because abuses are always seeds of division.
The whole text is below. I don’t have the energy to translate it all right now. There are good points, even it Fr. Lombardi seems to be hammering somewhat too much the obvious point that Pope Benedict is not "turning the clock back".
Then again, given the dopey criticisms we have heard long before this happy day arrived, and what we are sure to hear in the future, I suppose we have to repeat it, don’t we:
The Pope isn’t turning back the clock!
Say it with me…
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Il modo migliore per capire bene il significato del nuovo documento è naturalmente leggere con attenzione la lettera del Papa che lo accompagna. Benedetto XVI non intende compiere alcuna rivoluzione rispetto all’odierno uso liturgico rinnovato dal Concilio, che continuerà ad essere seguito dalla stragrande maggioranza dei fedeli; non impone alcun ritorno indietro; non vuole nessun indebolimento dell’autorità del Concilio né dell’autorità e della responsabilità dei Vescovi.
Il Papa intende semplicemente offrire a chi ne sente un motivato e profondo desiderio, una più facile possibilità di celebrare la liturgia secondo la forma del rito romano precedentemente in uso, di farlo serenamente, sentendosi benevolmente accolto e inserito nella grande comunità cattolica. Se nonostante le obiezioni il Papa ha preso questa decisione – dopo lunga riflessione, consultazione e preghiera, come dice egli stesso – in favore di un numero relativamente piccolo di persone, ha certamente dei motivi degni di essere ben compresi. Benedetto XVI ha una visione teologica e spirituale molto profonda della liturgia, e quindi un senso di grandissimo rispetto per quanto viene celebrato: la morte e la risurrezione di Gesù. La liturgia è qualcosa che ci viene donato, non è un nostro prodotto, è la sorgente della nostra vita. L’Eucaristia è il luogo più alto dell’incontro fra Dio e l’uomo.
Il Papa ritiene quindi suo compito e dovere aiutare tutti i fedeli a vivere questo incontro nel modo più degno e consapevole, sia che ciò avvenga con la forma del rito romano rinnovato, sia che – per motivi di formazione, cultura o esperienza personale – per alcuni ciò avvenga più facilmente con la forma più antica del rito. In ogni caso, il Papa si augura che la coesistenza delle due forme del rito porti ambedue non a contrapporsi ed escludersi, ma ad arricchirsi a vicenda, da una parte con un maggior spessore della sacralità della celebrazione, dall’altra con una più ampia varietà ed espressività di elementi. Anche per chi non prevede in alcun modo di cambiare il proprio uso liturgico rispetto all’attuale c’è dunque un importante messaggio: la liturgia va celebrata con cura e rispetto proprio perché attraverso di essa si comunica con il mistero di Dio. Se manca questo rispetto, non è solo il singolo ma la Chiesa intera a soffrirne, perché gli abusi sono sempre seme di divisione.
C’è chi teme che la coesistenza delle due forme del rito possa essere causa di divisione. Il Papa – con ammirevole prudenza, ma con grande fiducia – dice di ritenere che questo timore non sia realmente fondato. Anzi, fa chiaramente capire che la sua intenzione è esattamente l’opposta, cioè “fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla pienamente”. Benedetto XVI si sente profondamente responsabile dell’unità, e pensa naturalmente a chi si trova oggi ancora in rottura con la comunione ecclesiale, ma pensa anche a chi si trova in tensione all’interno di essa, e invita tutti all’apertura reciproca nell’unità della stessa fede. Ricorda che, come non si possono considerare proibiti o dannosi i libri liturgici più antichi, così nessuno ha il diritto di considerare negativamente quelli rinnovati. Chiunque si volesse quindi appellare al Motu proprio per accendere tensioni invece che per alimentare lo spirito di riconciliazione ne tradirebbe radicalmente lo spirito. Benedetto XVI ci ha spiegato che la corretta lettura del Concilio Vaticano II deve insistere sulla “continuità” piuttosto che sulla “rottura”. Anche la coesistenza delle due forme di un unico rito liturgico si deve interpretare in questa linea. Il nuovo si inserisce vitalmente sul precedente senza rifiutarlo.
Il Papa afferma in modo reciso che il timore che il documento intacchi l’autorità del Concilio è un timore infondato. Anche nella recente esortazione postsinodale Sacramentum caritatis ha ricordato “il benefico influsso che la riforma liturgica attuata a partire dal Concilio ha avuto per la vita della Chiesa”. Del resto, lo vediamo celebrare continuamente solennemente secondo il rito rinnovato. Lo abbiamo visto accogliere e lo abbiamo sentito spiegare egli stesso – possiamo ben dire affascinati – le sagge ed espressive innovazioni dei grandi riti dell’inaugurazione del suo Pontificato. Non abbiamo dunque alcun motivo di temere. Benedetto XVI non ci farà tornare indietro, ma ci conduce in avanti, tenendoci ben inseriti nella continuità del cammino storico della Chiesa. Un andare in avanti che mira anzitutto a progredire – come persone e come comunità – nella profondità dell’incontro con Dio.